Trattamento e sicurezza

Pubblicherò, da oggi, per singoli articoli, le disposizioni più rilevanti del “Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà”, ovvero del D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230. Senza interpretazioni o interferenze di sorta, cosicché il lettore possa trovare delle risposte ai tanti perché o perplessità del contesto carcerario.

D.P.R. 230/2000 - Art. 1 (Interventi di trattamento).

1. Il trattamento degli imputati sottoposti a misure privative della libertà consiste nell’offerta di interventi diretti a sostenere i loro interessi umani, culturali e professionali.

2. Il trattamento rieducativo dei condannati e degli internati è diretto, inoltre, a promuovere un processo di modificazione delle condizioni e degli atteggiamenti personali, nonché delle relazioni familiari e sociali che sono di ostacolo a una costruttiva partecipazione sociale.

3. Le disposizioni del presente regolamento che fanno riferimento all’imputato si estendono, in quanto compatibili, alla persona sottoposta alle indagini.

D.P.R. 230/2000 - Art. 2 (Sicurezza e rispetto delle regole).

1. L’ordine e la disciplina negli istituti penitenziari garantiscono la sicurezza che costituisce la condizione per la realizzazione delle finalità del trattamento dei detenuti e degli internati. Il direttore dell’istituto assicura il mantenimento della sicurezza e del rispetto delle regole avvalendosi del personale penitenziario secondo le rispettive competenze.

Detenzione e prole

È ammissibile la detenzione domiciliare per il padre condannato se la madre è deceduta o non può farsi carico della prole. Perciò, è costituzionalmente illegittimo il divieto di concedere al padre la detenzione domiciliare quando i figli possano essere affidati a terze persone rispetto alla madre deceduta o che non può farsene carico. Non viola invece i principi costituzionali il diverso trattamento stabilito dall’ordinamento penitenziario, vale a dire per la donna e l’uomo condannati che abbiano figli di età non superiore a dieci anni ovvero gravemente disabili.

Per cui, nel giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, la Corte Costituzionale, riuniti i giudizi, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies, comma 7, della Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), limitatamente alle parole «e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre»; nonché, ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies, comma 7, Ordin. Penit., sollevate, in riferimento all’art. 2 della Costituzione, dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna e dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia; ed infine, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies, comma 7, Ordin. Penit., sollevate, complessivamente, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 27, terzo comma, 29, 30, 31, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna, in via principale, e dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia. Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2025. Sentenza N. 52/2025.

Diritto all’affettività

A proposito del diritto all’affettività in carcere, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 10/2024 il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha predisposto le linee guida volte a stabilire termini e modalità di esplicazione del suddetto diritto.